Roberto Massaro
Ancora una volta le pensioni. Sembra quasi che una manovra economica che non contempli un “intervento strutturale sulle pensioni” non abbia ragion d’essere. Non sono bastate le riforme Dini e successivamente quella Maroni a rimettere in sesto la spesa previdenziale sulla quale pesano regalie (pensioni baby) che nel tempo hanno aggravato di costi il sistema pensionistico. Certamente la vita media (ma non quella di tutti…) si è allungata. Ma in un paese come il nostro, dove l’evasione fiscale è un dato vergognoso, non è accettabile rimettere sempre in discussione il capitolo delle pensioni. Ciò che rende questi interventi ancora più inaccettabili è che a proporli sono coloro che o godono già di un ricca pensione mensile o hanno uno stipendio talmente alto che al momento del ritiro dal lavoro attivo non dovranno affrontare certamente problemi di sopravvivenza. Quando ascolto i nostri politici di destra, centro e sinistra che dissertano su questa materia mi ritorna in mente il versetto 4 del cap. 23 del Vangelo di Matteo: “Gli scribi e i farisei legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”. Si discute di età anagrafica, di anni di contribuzione, di pubblico e privato come se tutte le persone e tutti i lavori fossero uguali. Ma ci sarà una differenza tra una donna con famiglia che lavora sui tre turni ad una catena di montaggio e un’altra donna di pari età e situazione familiare che lavora dietro una scrivania? C’è differenza tra un operaio che lavora a ciclo continuo (compresi quindi sabati, domeniche, feste laiche o religiose) con il giorno di riposo che cade a caso durante la settimana e un impiegato di un ente pubblico? Non si tratta di demagogia, ma di tenere presente quel principio a cui si ispirava Don Milani “non fare parti uguali tra diseguali”! La qualità e la lunghezza della vecchiaia di un individuo non dipendono, forse, anche dal tipo di occupazione e dalla fatica accumulata in una vita lavorativa? Non tener conto di questo è un atto di superficialità. L’argomento “pensioni” pertanto non può essere risolto in pochi giorni con la conversione di un decreto legge. Poiché ogni intervento su questa materia tocca la vita presente e futura di milioni di lavoratori, è necessario muoversi con cautela e con equità. Purtroppo si deve anche registrare l’incomprensibile divisione tra le maggiori organizzazioni sindacali, mentre sarebbe necessaria una loro piattaforma comune. Ma ciò che è ancora più grave, in questo momento storico, dove si richiede di nuovo alla popolazione di “tirare la cinghia”, è che la nostra classe politica non ha più l’autorità morale per imporre sacrifici. Prima di intervenire sulle pensioni e di riformare il welfare, gli italiani chiedono a tutta la classe politica di incidere sui privilegi di cui ha goduto per troppo tempo e che nessun politico di destra, centro o sinistra, laico o cattolico ha mai pensato di denunciare. Nemmeno gli attenti radicali. Questa classe politica, messa ormai sotto tutela da banchieri e tecnocrati, ha agito da padrone dello Stato e non da servitore. In particolare il centrodestra ed il governo ci hanno raccontato per mesi un’altra Italia: solida, reattiva. Poi di colpo ci siamo ritrovati sull’orlo del baratro stretti tra una crescita prossima allo 0 e l’ annosa fragilità dei nostri conti pubblici. Inoltre, mentre si chiede di prolungare la vita lavorativa, chi sta pensando seriamente al futuro delle nuove generazioni costrette a navigare a vista in un presente disseminato di scogli e di macerie etiche oltre che economiche? I dati ISTAT sono drammatici: la disoccupazione giovanile è al 30%; oltre 2 milioni di giovani “fantasma” né studiano né lavorano; la massa di precari di quasi 4 milioni è quasi interamente composta da giovani che, inseriti nel mondo del lavoro con la flessibilità, rischiano di rimanere precari a vita. Mentre la “casta” ha badato ai propri privilegi e alle proprie impunità, i giovani alla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid hanno cercato qualcuno che parlasse loro del senso della vita e non solo di ricchezze e veline. Serve una scossa etica dopo anni di silenzi ed ipocrisie. Serve una nuova classe dirigente, che viva l’impegno politico come una passione e non come un mestiere ben retribuito. Serve una nuova generazione che sia in grado di riportare la politica a governare l’economia ed il mercato e non viceversa altrimenti come canta Battiato nel suo Inneres Auge “che cosa possono le leggi dove regna soltanto il denaro? La giustizia non è altro che una pubblica merce… di cosa vivrebbero ciarlatani e truffatori se non avessero moneta sonante da gettare come ami fra la gente.”
(dal sito di Città futura)